1. La questione giuridica. La IV Sezione affronta il caso di due dipendenti di una società erogante il servizio di ristorazione presso una struttura militare, accusati di furto per essersi impossessati di prodotti alimentari del valore di euro 259. Gli imputati ricorrevano in Cassazione, deducendo tra l'altro che i generi alimentari erano loro consegnati direttamente presso la mensa dove prestavano attività lavorativa ed erano dagli stessi utilizzati per la preparazione dei pasti. Si sosteneva, dunque, che gli imputati non svolgevano una mera attività di somministrazione, bensì una più complessa opera di trasformazione dei beni alimentari, per cui gli stessi avevano pieno possesso della res, con conseguente inquadramento della vicenda criminosa in una ipotesi di appropriazione indebita.
2. I principi di diritto espressi in motivazione:
"3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si chiede la riqualificazione del reato di furto contestato in quello di appropriazione indebita, è infondato.
Secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, è configurabile il reato di furto e non quello di appropriazione indebita ove l'agente abbia la detenzione della cosa ma non un autonomo potere dispositivo sul bene (Sez. 5, n. 33105 del 25/09/2020, Re, non massimata; Sez. 4, n. 54014 del 25/10/2018, Veccari, Rv. 274749; Sez. 5, n. 31993 del 5/3/2018; Franceschino, Rv. 273639; Sez. 4, n. 10638 del 2/2/2013, Santoro, Rv. 255289).
Il reato di cui all'art. 646 cod. pen., infatti, si distingue da quello di furto per la situazione di possesso della cosa altrui, là dove la nozione di possesso cui allude la fattispecie incriminatrice coinvolge ogni situazione giuridica che si concretizza nel potere di disporre della cosa in modo autonomo al di fuori della sfera di vigilanza del proprietario, riferendosi, dunque, in tal senso, anche alla detenzione.
Quando, invece, l'agente non ha alcuna facoltà idonea ad esercitare il possesso, deve ravvisarsi il delitto di furto e non di appropriazione indebita (Sez. 4, n. 6617 del24/11/2016, dep. 2017, Frontino, Rv. 269224; Sez. 5, n. 7304 del 17/12/2014, dep. 2015, Sono, Rv. 262743; Sez. 4, n. 10638 del 20/02/2013, Santoro, Rv. 255289; Sez. 4, n. 23091 del 14/03/2008, Esposito, Rv. 240295).
Si è ulteriormente precisato che il presupposto del delitto di appropriazione indebita è costituito da un preesistente possesso della cosa altrui da parte dell'agente, cioè da una situazione di fatto che si concretizzi nell'esercizio di un potere autonomo sulla cosa, al di fuori dei poteri di vigilanza e di custodia che spettano giuridicamente al proprietario; viceversa, quando sussiste un semplice rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento condizionato e conseguente ad un preciso rapporto di lavoro, soggetto ad una specifica regolamentazione, che non attribuisca all'agente alcun potere di autonoma disponibilità sulla cosa stessa, si ricade nell'ipotesi di furto e non di appropriazione indebita (Sez. 2, n. 7079 del 17/03/1998, Farfarillo, Rv. 178616).
Ciò che è decisiva, quindi, è l'indagine circa il potere di disponibilità sul bene da parte dell'agente: se questo sussiste, il mancato rispetto dei limiti in ordine alla utilizzabilità del bene integra il reato di appropriazione indebita; in caso contrario, è configurabile il reato di furto (Sez. 2032 del 15/01/1997, Flosci, Rv. 208668).
In base a tali coordinate interpretative deve essere condotta l'analisi della fattispecie concreta sottoposta al vaglio di questa Corte.
La Corte di merito, in termini lineari e coerenti, ha sottolineato che gli imputati, in quanto addetti alla mensa, non erano titolari di un autonomo potere di disponibilità dei beni. Si è correttamente ritenuto che i dipendenti svolgessero la mansione consistente nella predisposizione dei pacchi contenenti i beni sulla base di precise direttive impartitegli dai superiori nell'ambito del rapporto lavorativo e che, pertanto, agivano quali detentori nomine alieno, non avendo acquisito una posizione di signoria su quanto loro affidato".